Ha trascorso buona parte della sua lunga vita, Maria Fioroni, a rintracciare i resti di una Legnago scomparsa, di una fortezza imponente della Repubblica di Venezia e del Quadrilatero, che per secoli aveva scandito i ritmi della vita comunitaria.
Il sottosuolo legnaghese di tanto in tanto restituiva (e restituisce ancora oggi) piccoli lacerti di questo passato militare.
Per almeno cinquant’anni Maria Fioroni ha vigilato con attenzione e pazienza su queste scoperte fortuite, le ha segnalate, ha recuperato i frammenti più importanti salvandoli da una sicura dispersione, le ha valorizzate adibendo una sezione importante della sua casa-museo a lapidario, a raccolta di epigrafi e di materiali lapidei fondamentali per la storia di Legnago.
Spesso nell’indifferenza e nella solitudine di chi cerca cose che per i più paiono non aver valore, con la caparbia e la tenacia di chi comprende come anche la più piccola pietra possa aggiungere importanti tasselli alle vicende storiche della fortezza atesina.
Le ‘incursioni’ tra le vestigia del secolare passato legnaghese iniziarono già nei primi anni ’20, un po’ prima degli importanti ritrovamenti di armi medievali (e di altre ceramiche, purtroppo perdute) sull’argine destro del fiume Adige tra il 1931 e il 1932.
Nel 1925, durante alcuni importanti lavori edilizi in piazza Garibaldi, cominciarono infatti ad affiorare quei frammenti di ceramica rinascimentale che da lì in avanti non smisero di emergere e di appassionare nello stesso tempo la donna che, nei successivi quarant’anni, ne divenne la prima studiosa e la divulgatrice più entusiasta.
Dopo le ceramiche – che negli anni immediatamente seguenti continuarono a comparire ad esempio in via Roma o a Porto nei pressi dell’istituto salesiano – fu la volta delle preziosissime armi medievali, ‘salvate’ da una sicura dispersione ed esposte tra le sale della casa-museo Fioroni nei primissimi anni ’40.
Pur nella tragicità delle terribili ripercussioni che il secondo conflitto mondiale ebbe su Legnago, devastata dalle incursioni aeree degli Alleati, le ricostruzioni post-belliche catalizzarono nuove prospettive di ricerca tra i resti della città. Legnago, nel secondo dopoguerra, si trasformò in una sorta di cantiere a cielo aperto: e immancabili, tra la nuove fondazioni di case, ville e palazzi, le testimonianze della sua storia non tardarono a riemergere copiose, senza che nulla sfuggisse allo sguardo attento e vigile di Maria Fioroni.
Tra il 1947 e il 1948 fu la volta della fondamentale scoperta delle due fabbriche di ceramiche rinascimentali di via Cavour a Legnago e di Porto. I due fondamentali rinvenimenti confermarono appieno l’intuizione sulla presenza nella città atesina di centri di produzione ceramica, che la stessa Fioroni aveva iniziato ad ipotizzare da tempo, senza purtroppo riuscire ad averne riscontro.
Nello stesso tempo, quegli stessi cantieri, ma purtroppo anche le macerie dei bombardamenti, cominciarono a restituire numerosi frammenti di epigrafi e di decorazioni lapidee di quella Legnago scomparsa che nel ricostruito palazzo Fioroni aveva trovato la sua culla d’elezione.
Fino ai primi anni ’60, la ‘signorina’ non smise di cercare: dopo le fondamenta dei cantieri, seguì i complessi lavori per il rifacimento dell’impianto fognario di Legnago che le permisero di tracciare una ipotetica griglia di scavo nella parte più antica, quella dei ‘borghi’, della città. Questi sondaggi, concentrati soprattutto nell’area contigua all’antico torrione di piazza della Libertà dove sorgeva appunto la rocca della fortezza medievale, permisero di verificare e di ricostruire, pur con approssimazione, una parte delle imponenti strutture fortificatorie che tanto avevano impressionato il poligrafo veneziano Marino Sanuto alla fine del Quattrocento.
La soddisfazione per i ritrovamenti che avrebbero permesso di gettare nuova luce sul lacunoso impianto urbanistico della fortezza, si accompagnarono talvolta al rimpianto di essere arrivata troppo tardi: come quando, nell’immediato dopoguerra, non le fu possibile salvare due affreschi quattrocenteschi che adornavano alcune case dei ‘borghi’, «andati distrutti per incuria e incomprensione».
A metà degli anni ’60, il progressivo accumulo a palazzo Fioroni dei materiali lapidei legnaghesi, ai quali si era nel frattempo aggiunta la cospicua raccolta del Comune di Legnago con gli importanti resti dell’abbattimento della fortezza e delle sue porte (1887-1888), spinse Maria Fioroni ad immaginare una soluzione espositiva (affidata all’architetto Ferdinando Forlati) che si integrasse nel complesso delle sale della casa-museo: la scelta cadde sulla serra prospiciente la facciata principale di palazzo Fioroni e sull’attiguo giardino, destinato ai ‘pezzi’ più imponenti.