La ‘nuova’ fortezza legnaghese e soprattutto la rocca (ricostruita nel corso degli anni ’70 del Quattrocento), che tanto avevano attirato l’attenzione dello storico veneziano Sanuto, ebbero purtroppo una vita molto breve.
Tra il 1509 e il 1517 nel corso di quella che è nota come ‘guerra della lega di Cambrai’, la quasi città atesina divenne più volte l’epicentro di significativi fatti d’armi nel complicato e mutevole scenario militare della Terraferma veneta, episodi che ne segnarono nello stesso tempo il tragico destino.
La disfatta dell’esercito veneziano nella celebre battaglia di Agnadello (14 maggio 1509), aprì le porte dello Stato marciano alle truppe della grande coalizione (vi aderirono papa Giulio II, il duca Alfonso d’Este, l’imperatore Massimiliano d’Asburgo, Luigi XII di Francia e Ferdinando II d’Aragona re di Napoli e di Sicilia) che mirava alla spartizione dei possedimenti veneziani che al tempo comprendevano oltre alla Terraferma veneta, lombarda e friulana (più l’Istria), importanti territori in Romagna (Ravenna, Rimini, Cervia, Faenza) in Trentino (Rovereto) e nelle Puglie (Trani, Brindisi, Gallipoli e Otranto).
In questo frastagliato contesto geopolitico e militare, la fortezza legnaghese ebbe un ruolo di primo piano: chi fosse riuscito a ‘tenere’ Legnago avrebbe controllato, in primo luogo, il traffico fluviale sull’Adige ma anche le vie di transito verso Verona e Padova.
Stando agli importanti Diarii del citato Sanuto (il fondamentale resoconto ‘giornaliero’ dei fatti di Terraferma dal 1496 al 1533) Legnago si arrese alle truppe dell’imperatore Massimiliano il 6 giugno 1509, anche se dopo poche settimane una sollevazione degli abitanti, sostenuta da truppe ‘marchesche’, permise al provveditore veneziano Carlo Marin di riprendere possesso della fortezza.
Nei mesi successivi, con l’approssimarsi dell’inverno e la pausa delle operazioni belliche, vennero quindi predisposte nuove difese («meteno assà villani dentro e bestiami» ricordava il Sanuto) e inviati rinforzi di truppe nell’attesa che gli eserciti della coalizione si ripresentassero alle porte di Legnago all’inizio della primavera successiva. I difensori ‘tagliarono’ inoltre in più punti gli argini dell’Adige nel tentativo di impaludare il territorio circostante la fortezza, rendendo così più difficile l’avvicinamento dei nemici e soprattutto delle temute artiglierie.
Nel maggio del 1510, dopo aver rapidamente conquistato Montagnana, Cologna Veneta, Este e Lonigo, il gran maestro Charles II d’Amboise (1473-1511), signore di Chaumont, a capo delle truppe francesi impegnate in Italia, predispose l’attacco a Legnago.
L’avanguardia dell’esercito francese, dopo aver passato l’Adige, si dispose tra Minerbe e Porto intorno al 20 maggio. I guastatori francesi iniziarono una serie di ardite e complesse operazioni militari per chiudere le rotte sugli argini dell’Adige e approntare dei ponti provvisori per avvicinare le artiglierie alle mura della fortezza. Il tutto sotto l’incessante bombardamento dei difensori veneziani che ne facevano strage: il Sanuto infatti raccontava nei suoi Diarii che in quei giorni «a Montagnana è stà portà charete piene di morti et feriti» francesi.
La forza d’urto dei soldati francesi, affiancati anche da truppe spagnole, riuscì a penetrare le difese di Porto il 29 maggio. Si trovarono davanti ad una cittadina devastata, irriconoscibile: come scriveva Sanuto «[i francesi] sono andati in li borgi di Porto; et diti borgi per quelli di Lignago erano sta brusati e tuta via ardeva». Con altrettanta rapidità Chaumont diede quindi ordine di sistemare le artiglierie tra le piazze di Porto, iniziando a bombardare incessantemente la rocca e la fortezza di Legnago, piegando la resistenza dei difensori per l’attacco finale che venne sferrato poco dopo.
Vale la pena di seguire anche in questo caso, parola dopo parola, il dettagliato e drammatico resoconto che ne diede il Sanuto: «marti proximo passato [28 maggio] a zercha hore 23 el campo nimicho zonse a Porto, el mercore da matina [29 maggio] messeno le artelarie a Santa Maria de Porto e comenzono a bombardar la terra di Lignago, el zuobia di note [30 maggio] pasono l’Adese de soto Lignago suso zerte zatre, et venere da matina [31 maggio] deteno una bataglia a la porta di Lignago verso la Badia, e poteno far niente salvo che fono morti de li nostri zercha 10, di soi fono morti zercha 400 da le artelarie et etiam da arme da man e freze, e il sabado [1 giugno] poi deteno do volte la bataja pur da quella banda e niente feceno; domenega poi a dì 2 [giugno] deteno tre bataje una la matina, l’altra a hora de disnar e la terza verso sera; e che eri da matina, a dì 3 [giugno] a l’alba si presentono iterum a la bataja, e in pocho spazio di tempo messeno nostri in fuga, perchè i capi se retirono in la rocha e inimici introno in la terra e comenzono a tajar a pezi le zente nostre, molti fuziteno fuora... ma per le aque la mazor parte sono anegati, et essi sono passati l’aqua nodando più di 6 mia e sono venuti a la volta di Cologna».
La rocca, nella quale si erano rifugiati i patrizi veneziani e il provveditore Marin, capitolò il 5 giugno, dopo che i continui bombardamenti avevano messo fuori gioco le ultime difese.
La fortezza rimase nelle mani dei francesi fino al giugno del 1512, quando venne ceduta alle truppe tedesche dell’impero in ragione degli accordi stipulati a Cambrai qualche anno prima.
Riconquistata dai veneziani guidati da Bartolomeo d’Alviano il 14 giugno 1513, la fortezza legnaghese aveva ormai subito enormi danni che ne limitavano il ruolo difensivo. A fine giugno, dopo un attento sopralluogo dell’Alviano e del condottiero Teodoro Trivulzio, venne quindi deciso di abbattere la rocca e abbandonare Legnago al suo destino: il Sanuto riferiva dei preparativi del comandante dei fanti della fortezza Bergamo Boselli per sistemare «polvere e fassine a li torioni di la rocha».
Nei mesi seguenti e fino alla fine delle ostilità, in una Legnago spettrale e desolata, priva di qualsiasi valore strategico e militare, si susseguirono quasi tutti gli eserciti della coalizione: della fortezza e della ‘rocca più bella di Lombardia’ rimanevano solo le macerie fumanti.
La quasi città non esisteva più: i ‘borghi’ esterni alle mura, verso S. Pietro, Vigo e Terranegra erano stati rasi al suolo; delle cinquecento case della fortezza, ne rimanevano in piedi solo tre, secondo la testimonianza attendibile di Sanuto.
La guerra di Cambrai fu indubbiamente un evento che si impresse nella memoria collettiva della comunità. Non a caso, nel 1694, a distanza di quasi due secoli, il notaio Giacinto Toninetti scrivendo la prefazione al florilegio a stampa dei privilegi amministrativi e giuridici che la comunità aveva acquisito a partire dal medioevo, ricordava ancora i fatti di Cambrai alludendo così alla completa distruzione della cittadina: «in Legnago stesso, siamo costretti a cercare dove Legnago sia».