Nel 1517, all’indomani della cessazione delle ostilità, il futuro doge Andrea Gritti, al tempo comandante generale dell’esercito veneziano in Terraferma, valutando, sulla scorta delle recenti vicende belliche, l’imprescindibile importanza strategica della piazzaforte, propose di predisporre con celerità le nuove fortificazioni di Legnago.
I complessi lavori che avrebbero ridisegnato di lì a poco la forma urbis della cittadina atesina, presero avvio nell’autunno del 1525: dopo qualche anno, plausibilmente nel corso del 1529, la Dominante incaricò Michele Sanmicheli di sovrintendere le operazioni e di revisionare il progetto iniziale.
Il celebre architetto lavorò a Legnago almeno fino al 1533, integrando con interventi sostanziali l’intera struttura della fortezza e predisponendo il disegno della porta principale, quella conosciuta poi con il nome di San Martino (1532-1535).
La nuova fortezza, costruita secondo i più recenti criteri dell’ingegneria militare cinquecentesca, che tenevano soprattutto conto dei veloci e continui progressi delle tecniche di assedio e della forza sempre più dirompente delle armi da fuoco, non aveva nulla da spartire con le strutture difensive del secolo precedente, ancora caratterizzate da mura verticali di mattoni o di pietra, in genere intercalati da torri a protezione delle porte o degli angoli.
La pianta esagonale, ‘stellata’, prevista per le due fortezze di Legnago e di Porto richiamava una struttura difensiva i cui punti di forza erano i caratteristici bastioni (detti anche baluardi): possenti mura di mattoni a ‘scarpa’ (cioè leggermente pendenti in altezza), rinforzate da alti terrapieni, in grado di ospitare un numero variabile di bocche da fuoco, depositi di polvere, ripari per i soldati.
Completavano le strutture le rispettive fosse, ancora una volta alimentate dalle acque dell’Adige e due spianate, una a Legnago e una a Porto: in altre parole, due ampi aree appositamente approntate abbattendo nel 1543 decine di case, alberi e ogni ostacolo che permettesse agli eventuali nemici di ripararsi nell’avvicinamento alla fortezza.
I lenti e complessi lavori, che impegnarono di anno in anno alcune centinaia di operai, terminarono all’incirca verso la fine degli anni ’50 del Cinquecento, anche se occorsero almeno altri quattro decenni per completare i ‘dettagli’ della complessa macchina difensiva legnaghese.