Almeno dalla metà degli anni ’20, le secolari stratificazioni del sottosuolo legnaghese non cessavano di restituire, ad ogni scavo occasionale, frammenti e lacerti ceramici di un passato che continuava a rimanere evanescente nella memoria collettiva. In effetti, non c’era modo di saperne di più su quelle ‘vestigia’ di una Legnago scomparsa, che non avevano lasciato traccia nelle carte (a causa della distruzione dell’archivio comunale ai primi del secolo XVI) e nemmeno nelle tradizioni della comunità.
I primi rinvenimenti di una certa entità avvennero nel biennio 1931-1932: alcuni significativi pezzi (ciotole, piatti, boccali), erano stati recuperati durante i lavori per il rinforzo dell’argine destro dell’Adige, a ridosso di quelle che erano le mura cittadine di un tempo. In questa occasione però la maggior parte dei reperti venne dispersa, plausibilmente confluita nei rivoli del mercato antiquario padovano.
Maria Fioroni continuò imperterrita nelle sue frenetiche ricerche, nei sondaggi in ogni cantiere della città, in ogni buca, aspettando pazientemente la svolta che avrebbe svelato finalmente qualche indizio su quelle belle ceramiche che continuavano ad affiorare e che ancora molto avevano da raccontare. «Non era naturale – ricordava nel 1965 – che in un piccolo centro vi fossero tante ceramiche di valore, perciò pensai che a Legnago nel XV secolo fosse esistita una fabbrica».
Il fervore archeologico e l’assidua continuità delle ricerche fioroniane portarono la ‘signorina’ a fare due scoperte fortuite che avrebbero riscritto la storia delle manifatture ceramiche veronesi: i ritrovamenti del primissimo dopoguerra, tra il 1947 e il 1948.
Si trattò anche in quei casi, di ‘occasioni sciupate’, almeno a metà; i lavori di ricostruzione postbellica cancellarono velocemente le tracce dei due siti, prima dei necessari approfondimenti archeologici. In ogni caso l’intuizione, la tenacia e la perseveranza di Maria Fioroni permisero di ‘documentare’, nell’arco di due anni, l’esistenza di due fabbriche ceramiche entro le mura cittadine.
Nel 1947 venne scoperta una prima fabbrica in via Cavour; fu purtroppo un’occasione mancata, dal momento che nell’area dello scavo era stata messa in luce una fornace quattrocentesca, purtroppo distrutta.
Nel 1948 toccò invece alla sponda sinistra dell’Adige: nella zona di Porto di Legnago, nel sito dove sarebbe sorto il nuovo santuario dedicato alla Madonna della Salute, emersero i resti di un intero laboratorio ceramico, descritto dalla stessa Maria Fioroni che poté recuperare, in tutta fretta, una quantità ingente di ceramiche e di altri reperti (tra tutti, di fondamentale importanza, grumi di silice e uno stilo in piombo per eseguire il ‘graffito’), prima dell’interramento forzato.
La presenza di attività manifatturiere in loco era dimostrata dalla grande quantità di pezzi finiti, ma anche e soprattutto dagli scarti, dai treppiedi per la cottura (le cosiddette ‘zampe di gallo’), dai vasetti per i colori e dalle ceramiche ancora in lavorazione rinvenute durante gli sterri.
A queste prime due scoperte ne seguirono, negli anni a venire, altre due: nel 1959 alcuni lavori in via Roma misero in luce una probabile terza fabbrica. Nel 1968 fu la volta di una scoperta più periferica: una quarta fabbrica nel territorio di Minerbe. Anche i pezzi rinvenuti in questa occasione andarono ad arricchire la collezione fioroniana.
Maria Fioroni unì, alle ricerche, anche un intenso lavoro di studio dei reperti e soprattutto di scambio epistolare con esperti del settore. Tra questi vale la pena ricordare Gaetano Ballardini, padre fondatore del celeberrimo museo delle ceramiche di Faenza, che seguì da vicino le vicende legnaghesi e fu per lunghi anni mentore della ‘signorina’.