Entrando nella sala da pranzo di palazzo Fioroni si viene immediatamente catapultati nella dimensione più ‘domestica’ del museo: viene spontaneo puntare lo sguardo sul grande tavolo cinquecentesco, sul caminetto seicentesco, sulla luce soffusa che entra dalle finestre, ripensando a quella che poteva essere la vita quotidiana della ‘signorina’ in questa stanza che nelle decorazioni richiama gli interni del castello sforzesco di Milano.
È proprio qui che Maria Fioroni ha voluto creare l’ambientazione per le sue amate ceramiche rinascimentali, probabilmente la seconda collezione più importante, dopo quella delle armi. Un allestimento semplice, con vetrine a muro disposte su ogni parete libera del corridoio e della sala che conseguentemente hanno preso il nome di ‘corridoio e sala delle ceramiche’.
Era d’altra parte difficile pensare ad una collocazione più indicata per tali reperti: le stoviglie da tavola, diligentemente selezionate dalla stessa Maria Fioroni tra le molteplici casse di reperti ‘tutti legnaghesi’, sono disposte con un criterio estetico, più che scientifico: la vetrina ‘dei cherubini’, quella dei volti di dame e di paggi, quella delle ceramiche di particolare committenza (con gli stemmi nobiliari o il monogramma di Cristo dei monasteri legnaghesi), quella con gli animali.
Le ceramiche di Legnago ebbero una produzione relativamente breve e circoscritta nel tempo: le fornaci lavorarono tra la seconda metà del XV secolo e il primo decennio del XVI, interrompendo bruscamente l’attività in concomitanza con le vicende belliche degli anni 1509-1516 che segnarono una delle più disastrose disfatte legnaghesi.
Con il ritorno della Repubblica veneziana le manifatture di Legnago non rinacquero più, probabilmente sopraffatte dalla concorrenza di altri centri ceramici veneti e ostacolate dalla pesante emigrazione del periodo immediatamente successivo. In ogni caso i pezzi rinvenuti testimoniano una delle principali attività produttive della Legnago tardo medievale e moderna, sintomo della prosperità che caratterizzò all’epoca la cittadina.
Tre sono le fabbriche che lavorarono in città: due nel centro cittadino e una a Porto; la loro identificazione si deve ancora una volta a Maria Fioroni, instancabile ricercatrice di quei tasselli di storia che emergevano sempre più numerosi all’indomani delle distruzioni causate dai devastanti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.