Le Armi Medievali - La Scoperta



Per eliminare le infiltrazioni d’acqua che le piene dell’Adige provocavano in piazza Vittorio Emanuele (ora piazza della Libertà), tra il 1931 e il 1932 vennero intrapresi alcuni lavori di rinforzo sull’argine destro del fiume, a monte e a valle dell’intestatura del ponte pedonale.

Per impedire che l’acqua dell’Adige sottopassasse i massicci argini costruiti in seguito alla devastante rotta del 1882, vennero costruiti dei ‘cassoni’ di cemento armato larghi 3 metri e profondi 12 metri, il cui compito era appunto quello di fungere da ‘paratia stagna’ nel tratto di argine prospiciente al centro cittadino.

Nel corso dei lavori di scavo per la realizzazione e la posa dei ‘cassoni’, che interessarono anche l’area a ridosso del fiume dove in passato sorgeva l’antichissima rocca della fortezza, vennero riportate alla luce molte armi bianche di svariate epoche e altrettante ceramiche rinascimentali, plausibilmente prodotte dalle fornaci legnaghesi.

Prestando fede alle scarne testimonianze che la stessa Maria Fioroni riuscì a raccogliere qualche anno dopo gli eventi, gli oggetti più belli – «elmi, alcuni col camaglio, cotte, spade (una aveva l’impugnatura lavorata in oro), pugnali, lance, scuri» – vennero consegnati dal Genio Civile che sovrintendeva le operazioni idrauliche all’allora prefetto di Verona.

Gli importanti ritrovamenti passarono quasi del tutto inosservati: la stessa Fioroni, che in quei mesi si trovava nella residenza milanese della famiglia, venne a conoscenza delle scoperte con molto ritardo, quando ormai la parte più consistente degli oggetti recuperati aveva preso la via di Verona.

Intuendo subito l’inestimabile valore delle armi bianche che comunque continuavano ad affiorare dagli scavi sull’argine, ritornò a Legnago e iniziò a seguire attentamente i lavori in prossimità dei ‘cassoni’, cercando di recuperare ad ogni costo i ‘ferri’ arrugginiti che gli operai del Genio Civile rigettavano nell’Adige considerandoli cortei da grasso, cioè vecchi coltelli comuni di uso domestico, finiti chissà come nella terra dell’argine atesino.

La ‘maniaca’, come veniva chiamata da chi non poteva capire in fin dei conti gli strani interessi di quella donna a caccia di cocci e di pezzi di ferro, come sempre non si scoraggiò; in breve riuscì a mettere in piedi una ‘rete’ di informatori che le permise di recuperare, pur con molte difficoltà e spesso in modo rocambolesco, una parte delle armi bianche restituite dall’Adige.

Molte altre armi bianche nel frattempo recuperate sull’argine e prese in carico dal Genio Civile, rimasero invece per lunghi anni abbandonate nei depositi legnaghesi dell’ente, senza che Maria Fioroni riuscisse a venirne in possesso.

Solo nel 1940, grazie all’interessamento dello storico legnaghese don Giuseppe Trecca e del professor Francesco Zorzi (direttore del Museo Civico di Scienze Naturali di Verona), tutti i materiali provenienti dagli scavi dell’Adige vennero definitivamente donati a Maria Fioroni per il suo museo legnaghese.

Va ricordato, tra l’altro, che assieme alle importanti armi bianche, vennero rinvenuti anche moltissimi utensili sempre di epoca medievale, riconducibili alle differenziate manifestazioni della civiltà materiale atesina, dall’agricoltura, all’allevamento, alla lavorazione del legno.