Il Risorgimento a Verona e nel Veronese - Il periodo veneto

Le tre fortezze veronesi del Quadrilatero – Legnago, Peschiera e Verona – che tanta parte ebbero nella storia del Risorgimento italiano, furono realizzate nel corso del Cinquecento nell’ambito di un ambizioso progetto attuato dalla Repubblica di Venezia.

Dopo le guerre della Lega di Cambrai (1508) e la durissima sconfitta subita ad Agnadello (14 maggio 1509), che avevano rivelato tutta la vulnerabilità delle antiche fortificazioni di fronte alle moderne artiglierie nemiche, i governanti della Serenissima presero coscienza della necessità di un radicale ripensamento della struttura difensiva della Terraferma.

Le nuove piazzeforti vennero progettate dai più prestigiosi architetti dell’epoca: Michele Sanmicheli in primis, ma anche Troilo Pignatelli, Francesco Malacreda e Giulio Savorgnan. Essi furono coadiuvati dai maggiori esperti nell’arte della guerra di cui Venezia potesse disporre, come il provveditore generale e futuro doge Andrea Gritti e i duchi d’Urbino Francesco Maria e Guidobaldo II della Rovere.

Le fortezze veronesi furono concepite ‘alla maniera moderna’, tenendo cioè in debito conto delle più recenti innovazioni nell’ambito dell’architettura militare: bastioni, cortine in muratura e terra, ampi fossati acquei o asciutti, spalti e spianate. Solo con l’edificazione di queste opere infatti i centri della Terraferma avrebbero potuto opporre un’adeguata resistenza alle bordate dell’artiglieria di recente concezione, capaci di sbriciolare facilmente le torri e le mura di origine medievale.

Il programma fortificatorio attuato dalla Serenissima richiese uno sforzo economico senza precedenti e i lavori di costruzione, iniziati intorno agli anni Venti del Cinquecento, vennero completati in un tempo molto lungo – circa settant’anni – tra ritardi, rinvii e impedimenti di ogni genere. Diedero però vita a dei manufatti grandiosi, destinati a lasciare una traccia indelebile sul paesaggio urbano della Terraferma.

I sacrifici, d’altro canto, furono assai onerosi anche per le comunità coinvolte nel programma, alimentando il crescente malcontento delle popolazioni locali, chiamate a contribuire alla costruzione e al mantenimento delle fortezze con uomini, materie prime e denari. Senza contare le distruzioni, le demolizioni e gli espropri operati a danno di quelle proprietà che sorgevano sulle superfici destinate ad ospitare i nuovi bastioni e le spianate.

Le ‘fabbriche’ delle fortificazioni rappresentarono senza dubbio un’opportunità di cospicui guadagni per coloro che operavano nei settori legati alla produzione e al trasporto dei materiali edilizi, tuttavia la vocazione prettamente militare che le esigenze strategiche veneziane imposero ai centri fortificati si rivelò in breve tempo fortemente deleteria – specialmente a Peschiera e Legnago – per tutte quelle attività produttive e mercantili che in passato erano state fiorenti.

Con il passare degli anni, inoltre, una volta scemata la minaccia del nemico alle frontiere, la frustrazione per i quotidiani disagi provocati dai cantieri – spesso rimasti aperti per interi decenni – si affiancò alla sensazione diffusa tra la gente comune che la realizzazione delle fortezze non fosse più così necessaria. [Luca Papavero]