Ceroni Giuseppe

Ceroni Giuseppe [San Giovanni Lupatoto 1774 - Governolo 1823].

 

Di famiglia agiata si dedicò agli studi classici nel liceo veronese e in seguito frequentò l’Università di Padova – dove fu discepolo di Melchiorre Cesarotti – senza conseguirvi alcun titolo. L’arrivo delle truppe francesi nel corso del 1796 accese in lui l’ideale rivoluzionario e diede alla sua poesia un carattere decisamente giacobino. Una volta instaurata la municipalità provvisoria a Verona, fu dapprima segretario del comitato di polizia, poi membro attivissimo della sala di pubblica istruzione e presidente del comitato di censura. In seguito si arruolò nel battaglione veronese di fanteria nazionale, col grado di tenente. Dopo il trattato di Campoformio, Ceroni passò, col fratello Nicola, nella fanteria di linea dell’esercito cisalpino trasferendosi a Milano dove divenne frequentatore del circolo costituzionale. Cantò poi l’occupazione francese di Roma, improvvisò due sonetti sulla caduta del potere temporale e compose il poemetto Verona, in cui compiangeva la sorte della sua città. In seguito all’offensiva austro-russa, il poeta-soldato si ritirò a Genova. Inaspritosi l’assedio, Ceroni ebbe parte nei combattimenti di Boschetto, Rivarolo e Coronata, presso la quale rimase ferito. Durante la successiva campagna di Napoleone in Italia Ceroni compose due odi, La Guerra e La Pace, indirizzate ai francesi affinché si dedicassero all’unificazione italiana. In seguito occupò importanti ruoli nell’esercito italiano organizzato dai francesi divenendo addirittura comandante della piazza di Pistoia. Rientrato nella Cisalpina divenne capitano di guarnigione ad Oleggio in provincia di Novara. Da quel momento la sua poesia divenne critica nei confronti dei transalpini: il poeta veronese lamentò in particolare il misero spettacolo dell’Italia passata da una dominazione ad un’altra e li rimproverò di aver dimenticato le vere ragioni della rivoluzione. I versi del poemetto Sciolti di Timone Cimbro, non per i loro pregi stilistici, ma per il contenuto politico, ebbero larga diffusione ed ottennero anche numerosi consensi finché il vicepresidente Melzi d’Eril, temendone la pericolosità, ordinò alla polizia di distruggerli e diede ordini perché l’autore fosse richiamato dai suoi superiori ai suoi doveri d’ufficiale. Giocchino Murat poi, sospettando che quel poemetto fosse una spia di una vera e propria congiura antifrancese, fece sequestrare la corrispondenza del poeta veronese, che fu spedita a Napoleone nel marzo del 1803. In aprile il poemetto venne condannato come scritto sedizioso e ingiurioso nei confronti della Francia e il suo autore radiato dai ruoli dell’armata. Rientrato nelle grazie di Napoleone nel 1804 il veronese venne riammesso nell’esercito. Prima di morire partecipò a numerose compagne militari distinguendosi per l’impegno e ottenendo alcune decorazioni.