Caserme

Una consistente voce di spesa in grado di erodere quote considerevoli dei bilanci delle fortezze veronesi riguardava l’alloggiamento dei soldati e il loro mantenimento. I costi ricadevano in parte sul bilancio delle comunità e in parte sulla popolazione, la quale era tenuta a fornire vitto e alloggio agli uomini delle guarnigioni.

A Legnago i 400 soldati di stanza nella fortezza (anche se ben presto si ridussero a soli 230) furono sistemati nelle abitazioni dei privati. Solo in un secondo momento le autorità veneziane decisero di far costruire delle caserme o di riadattare vecchi edifici – è il caso dell’ospedale della Santissima Trinità – in alloggi militari. Anche a Peschiera, a partire dal secondo Cinquecento, le milizie della guarnigione trovarono posto negli edifici fatti appositamente costruire sulla sponda veronese del Mincio.

Queste caserme di sobria fattura, disposte su due o tre piani – che secondo alcune stime potevano accogliere complessivamente tra le 400 e le 500 unità – sollevavano gli abitanti del borgo perlomeno dall’obbligo di ospitare le truppe nelle proprie case. A Verona l’acquartieramento e il rifornimento del presidio cittadino fu affidato ai Deputati sopra gli alloggi e dagli anni Trenta del Cinquecento Venezia promosse la costruzioni di nuovi quartieri militari pubblici allo scopo di evitare alla città il peso di alloggiare i soldati nelle abitazioni private.

Nella seconda metà del Seicento fu avviata invece la ristrutturazione delle vecchie costruzioni adibite ad alloggio militare come Castelvecchio, Castel San Pietro, Castel San Felice e le caserme presso le porte (Porta Nuova, Porta San Giorgio, Porta San Zeno e Porta Vescovo). Al termine dei lavori, a Settecento inoltrato, Verona poteva garantire ospitalità ad oltre 6.000 soldati, ma le enormi spese per realizzare queste opere ricaddero quasi completamente sulle  casse comunitarie. [Luca Papavero]